Si fa chiamare "lo zio" dai bambini di Auschwitz, lui li chiama "le mie cavie". È l'angelo della morte, è Josef Mengele, il medico nazista che ha utilizzato i prigionieri del campo di concentramento di Auschwitz per i propri esperimenti. Nato a Günzburg (in Baviera) nel 1911, Mengele studia filosofia e medicina. Nel 1935 si laurea con una tesi in antropologia, in cui analizza la morfologia delle razze attraverso gli studi sulle mandibole. Nel 1937 chiede la tessera del partito nazista e nel 1938 entra nelle SS. L'anno successivo parte volontario nella seconda guerra mondiale. I sovietici lo feriscono nel 1942 e Mengele è costretto a tornare in Germania. Può così dedicarsi ai suoi interessi scientifici e tornare a studiare la morfologia delle razze umane. Il 30 maggio del 1943 arriva ad Auschwitz. In ciò che resta di un'umanità distrutta dal terrore e dalla violenza nazista, chi viene scelto da Mengele è apparentemente fortunato: non muore per il gas del campo di concentramento e forse può sopravvivere. Mengele sceglie i soggetti affetti da nanismo, i bambini malati di atrofia cancerosa della mascella, e soprattutto i gemelli: per cercare di verificare le proprie teorie razziali Mengele li sottopone a terribili torure. Provoca aborti alle donne incinte per analizzarne i feti, studia l'ipotermia inserendo i soggetti prescelti nell'acqua a zero gradi e calcolando quanto tempo impiegano per morire. Uno studio americano del 1990 ha ricostruito gli esperimenti di Mengele e ha mostrato, lo sottolinea lo storico Gilberto Corbellini, che le ricerche del medico nazista, vengono svolte senza seguire alcuna metodologia scientifica. Nel 1949 Mengele si trasferisce in Argentina. Il Mossad, il servizio segreto israeliano lo cerca e non riesce a trovarlo. Dall'argentina si sposta in Paraguay e infine in Brasile dove muore nel 1979 senza aver scontato neanche un giorno di carcere.
Il 19 aprile del 2005 Joseph Ratzinger, nato il 16 aprile del 1927 in Germania a Marktl sull'Inn, nella diocesi di Passau, diventa l’erede di Karol Woityla, Papa Giovanni Paolo II. Per il suo pontificato sceglie il nome di Benedetto XVI. Nel 1977 Paolo VI lo ha creato Cardinale. Nel 1978 il Cardinale Ratzinger ha dunque preso parte al Conclave per l’elezione di Giovanni Paolo I, e nel mese di ottobre dello stesso anno ha partecipato anche al Conclave che ha eletto Giovanni Paolo II. Il 25 novembre del 1981 Papa Wojtyla lo ha nominato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e Presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Commissione Teologica Internazionale. Ora, un documento congiunto della Chiesa cattolica e delle Chiese ortodosse fissa definitivamente il primato del pontefice di Roma, aprendo la strada alla riunificazione delle due Chiese e sanando una divisione che risale allo scisma del 1054.
Il 20 maggio del 1990 Giovanni Paolo II proclama beato Pier Giorgio Frassati, figlio del fondatore del quotidiano La Stampa. Frassati muore nel 1925 a soli 24 anni, stroncato da una poliomelite fulminante. Una storia straordinaria, la sua, di impegno e fede. Ma in che modo per un giovane è possibile intraprendere la via che porta alla santità?
De Gasperi fu un politico integerrimo, rigoroso, profondamente cattolico, sensibile ai drammi italiani e, per questo, fermo assertore e fautore del progresso. Ha infatti condotto un Paese sconfitto fuori dalla crisi economica e morale in cui era sprofondato. Le sue grandi visioni e realizzazioni come l'europeismo, la costante ricerca del metodo democratico e la profonda fede cristiana che si traduce in un atteggiamento compiutamente laico in politica, ne hanno fatto un modello per generazioni di uomini politici.
Scrittore, poeta, regista, giornalista, ma anche filosofo e pittore, nato a Bologna il 5 marzo del '22, Pier Paolo Pasolini è stato l'intellettuale che più ha saputo intuire il futuro della nostra società.
E' il 1968. Tra pochi anni le abitudini degli italiani cambieranno: quello che è sempre stato lo spazio dedicato alla gita fuori porta, alla partita di calcio, alla visita dei nonni, si trasformerà in un assetto di guerra davanti al televisore. Ma nei pomeriggi domenicali del 1968 c’è ancora spazio per un varietà stimolante: “Quelli della domenica”. I testi sono di Marchesi, Terzoli e Vaime, con la collaborazione di Costanzo. Tra i protagonisti c’è un dirompente Paolo Villaggio al suo debutto televisivo, dopo quello radiofonico nel “Sabato del Villaggio”, nei panni di un imbonitore tedesco, Kranz, che tratta il pubblico a pesci in faccia.
Un personaggio controverso, amato e criticato. Secondo alcuni un genio del paranormale e dell'esoterismo, secondo altri un mistificatore. Egli però rifiutava di essere incluso in una qualsiasi di queste categorie. Gustavo Rol rimane di sicuro un mistero.
Ripercorriamo la storia di Cesare Casella, vittima di uno dei più lunghi sequestri di persona a scopo di estorsione mai avvenuti in Italia. Attraverso il racconto della madre, Angela Montagna, diventata un simbolo di tenacia e coraggio, ricostruiamo due anni e mezzo di sofferenze fino al rilascio del ragazzo.
E' il 1968. Tra pochi anni le abitudini degli italiani cambieranno: quello che è sempre stato lo spazio dedicato alla gita fuori porta, alla partita di calcio, alla visita dei nonni, si trasformerà in un assetto di guerra davanti al televisore. Ma nei pomeriggi domenicali del 1968 c’è ancora spazio per un varietà stimolante: “Quelli della domenica”. I testi sono di Marchesi, Terzoli e Vaime, con la collaborazione di Costanzo. Tra i protagonisti c’è un dirompente Paolo Villaggio al suo debutto televisivo, dopo quello radiofonico nel “Sabato del Villaggio”, nei panni di un imbonitore tedesco, Kranz, che tratta il pubblico a pesci in faccia.
Chi sono le donne di Mussolini: mogli, amanti, “libere unioni”, figlie, e come sono le donne durante il fascismo? Ida Dalser, Margherita Sarfatti, donna Rachele, Claretta Petacci sono solo alcune di quelle che godono dei frettolosi favori del Duce; e quale è poi il rapporto tra il regime fascista e la donna? Secondo la tradizione la donna è relegata in secondo piano: madre prolifica, discriminata sul lavoro, scoraggiata a proseguire gli studi, massaia ideale e, meglio ancora, massaia rurale ideale: «obbedire, badare alla casa, mettere al mondo figli e... portare le corna». È del 1927 la grande la battaglia per l’aumento delle nascite e si deve a Benito Mussolini la creazione dell' Opera Nazionale Maternità e Infanzia, alla scopo di tutelare madri e figli in difficoltà. Così come il continuo incoraggiamento affinché la donna venga considerata il centro della famiglia, la regina della casa e dell' autarchia. Il regime cercherà un difficile equilibrio tra modernizzazione ed emancipazione.
Trenta edizioni, un programma, un gioco, una sfida tra le nazioni europee, che ci ha fatto sentire tutti cittadini di un unico grande Paese. La storia e i retroscena di "Giochi senza frontiere" e dell'Eurovisione.
Il 10 Giugno 1981 l'italia si ferma. Le televisioni trasmettono le immagini del paese di Vermicino, nei pressi di Roma dove un bambino di 6 anni, Alfredo Rampi è caduto in un pozzo artesiano. La vicenda si trasforma immediatamente, per la prima volta in Italia, in un fenomeno mediatico in cui milioni di persone seguono in diretta tv la vicenda, trasmessa a reti unificate. la diretta piu lunga della storia, da venerdi 12 giugno a sabato 13 giugno. La polizia accorre sul luogo in serata, chiamata dai genitori e localizza il bambino. Poco dopo mezzanotte arrivano i Vigili del Fuoco. Il pozzo è largo 30 cm, profondo 80 metri. Si pensa che Alfredino si sia bloccato a 36 metri: scivolerà invece fino a 60. Una tv locale si precipita sul posto a registrare il primo tentativo di salvataggio con una tavola di legno, metodo proposto da un gruppo di speleologi: ma si rivelerà un fallimento totale. Il Comando dei Vigili del Fuoco li allontana quindi senza riserve: il tentativo ufficiale sarà scavare un pozzo parallelo con una trivella. Si fa un appello tv per reperirla. Prontamente, risponde un privato. Le immagini, intanto, sono sempre piu tragiche Un microfono calato nel pozzo diffonde i lamenti agghiaccianti del piccolo e le grida della madre. A Vermicino, intorno al pozzo si raduna una folla di migliaia di curiosi e volontari. Compaiono, a vendere generi alimentari, anche gli ambulanti. Isidoro Mirabella, un coraggioso volontario, si cala nel pozzo nella serata di Giovedì. Venerdì pomeriggio il Presidente Pertini arriva facendosi largo tra la folla. In serata, il colpo di scena: Alfredino è caduto troppo in basso e la trivella e inutile. Bisogna calare gli speleologi, che fin dall'inizio avevano criticato l'uso della trivella. Secondo Tullio Bernabei, è ormai un'impresa disperata. È lui a calcolare la vera distanza cui si trova Alfredino: oltre 60 metri. I candidati si scambiano il testimone: Claudio Aprile poi Angelo Licheri, infine un nano ed un conto
La sua morte, per molti anni misteriosa, ha regalato a quest'uomo, grigio e opportunista, il respiro che la sua vita non ha avuto. Quella di Bormann è una storia travagliata. Martin perde il padre a tre anni e la madre si risposa con un uomo che trasforma la vita familiare in una rigida, cupa prigione. Il giovane Bormann si trasferisce a Monaco ed aderisce al Partito Nazionalsocialista. E' il 1927. Zelante e calcolatore, devoto e meticoloso, fa una rapida carriera…
Chernobyl (Ucraina), 26 aprile 1986: esplode uno dei quattro reattori della centrale nucleare situata a 110 chilometri a nord della capitale Kiev e a 16 chilometri dal confine con la Bielorussia. Il reattore è come un vulcano che esplode: dopo pochi secondi dalla prima avviene una seconda esplosione, ancora più forte. La nube radioattiva si alza per oltre un chilometro sopra la centrale. Ad un primo ed immediato bilancio le vittime sono 31, oltre 500 i feriti: ma gli effetti del materiale radioattivo rilasciato nell’atmosfera colpiscono come un killer invisibile l’Europa intera causando, per molti anni, danni irreparabili alla salute fisica e mentale di migliaia di persone. Il disastro di Chernobyl scatena dunque in tutto il mondo la paura del nucleare, e le innumerevoli proteste verso le centrali sorgono spontaneamente. Del resto a tutt’oggi le vere dimensioni di questa terribile catastrofe nucleare non sono ancora completamente accertate. APPROFONDIMENTO Il 26 aprile 1986, un reattore della centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, esplode sprigionando un'energia pari a dieci volte la potenza della bomba di Hiroshima: una nube radioattiva minaccia tutta l'Europa.
A venti anni dalla strage che a Palermo uccise il giudice Paolo Borsellino, la vedova Agnese, in esclusiva per La Storia Siamo Noi, rompe il silenzio per ricordare gli angeli di suo marito Paolo, la scorta che perse la vita insieme al Giudice. I 57 giorni sono quelli che separano la strage Falcone da quella Borsellino, a sottolineare quanto, dopo Capaci, il delitto Borsellino fosse annunciato. La cosa che emerge con più forza è come il giudice si preparasse alla morte, cercando pure di attardarsi da solo per dare la possibilità agli assassini di ucciderlo senza coinvolgere la scorta. Invece furono in cinque a cadere in via D'Amelio, dove una Fiat 126 imbottita di tritolo esplose nel momento in cui il giudice bussava al citofono della madre. APPROFONDIMENTO - Il Pool Nel 1980 si costituisce il "pool" antimafia nel quale, sotto la guida di Chinnici lavorano, fra gli altri, alcuni magistrati (Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello, Leonardo Guarnotta, Giovanni Barrile) e funzionari della Polizia di Stato. Uno dei primi esempi concreti del coordinamento operativo fa la collaborazione fra Borsellino e Di Lello, che il giudice Chinnici aveva voluto e richiesto in squadra. Di Lello prendeva giornalmente a prestito la documentazione che Borsellino produceva e gliela rendeva la mattina successiva, dopo averla studiata come fossero "quasi delle dispense sulla lotta alla mafia". Nel 1987, mentre il maxiprocesso si avviava alla sua conclusione, il Consiglio Superiore della Magistratura il 19 gennaio 1988 nomina Antonino Meli; ma per non sciogliere il pool, Borsellino parla in pubblico a più riprese, raccontando quel che stava accadendo alla procura di Palermo. In particolare, in due interviste rilasciate il 20 luglio 1988 a la Repubblica ed a L'Unità, riferendosi al CSM, dichiara tra l'altro espressamente: "Si doveva nominare Falcone per garantire la continuità all'Ufficio, hanno disfatto il pool antimafia, hanno tolto a Falcone le grandi inc
Nasce il mito del comandante Diavolo Nell'aprile del 1941 nell'Africa orientale la situazione italiana appare disperata: dopo sei giorni di combattimenti le truppe inglesi entrano ad Asmara costringendo gli Italiani alla ritirata. È la disfatta, ma un giovane italiano, il tenente Amedeo Guillet rimasto solo con un centinaio di indigeni a cavallo decide di non arrendersi. Nonostante sia gravemente ferito a un piede si rende conto di essere isolato dall'esercito italiano e soprattutto dimenticato dagli Inglesi, quindi insieme ad alcuni indigeni senza più ordini né riferimenti gerarchici, prende una decisione imprevedibile: 'Bisogna combattere il più possibile, più si combatte più questi Inglesi rimangono qui in Eritrea e non vanno a combattere contro i nostri in Libia, bisogna combattere fino all'ultimo uomo!'. Secondo il diritto internazionale di guerra non si può continuare a combattere dopo la firma della resa, eppure Guillet non vuole sprecare un'occasione così importante, ha in mente una stragia precisa: sfiancare il nemico e fargli credere che gli Italiani sono ancora in grado di combattere. Secondo il tenente solo così l'Italia può sperare di uscire a testa alta dal conflitto. Inizia quindi la sua guerra privata. Amedeo Guillet è costretto a nascondersi, a camuffare la sua identità: smessa l'uniforme militare indossa il turbante e il tipico abbigliamento indigeno e grazie ai suoi tratti mediterranei e alla conoscenza perfetta della lingua araba per tutti è Ahmed Abdallah al Redai. Inizia così la leggenda del comandante diavolo. Un passo indietro: chi era Guillet? Nato a Piacenza nel 1909, il barone Amedeo Guillet è un brillante sottotenente di cavalleria del Regio Esercito Italiano, noto per le sue doti di cavaliere e di latin lover che conduce una vita spensierata e mondana. Per le sue innate capacità equestri viene scelto per rappresentare la squadra italiana di equitazione alle Olimpiadi di Berlino del 1936, ma nell'inverno d
Nessun secolo come il Novecento, che pure ha visto avanzare enormi progressi, è stato così devastato da guerre ed orrori: tra questi l’atomica non può certo essere dimenticata. La guerra, finita in Europa, continua ancora nel Pacifico, dove i giapponesi, anche se ormai alle corde, dimostrano un’incredibile capacità di resistenza. Allora Harry Truman, diventato il presidente degli Stati Uniti dopo la morte di Franklin Delano Roosevelt, per costringere il governo di Tokyo ad arrendersi ordina la “soluzione finale”: la bomba atomica. Il 6 agosto 1945 dunque, l’aereo americano “Enola Gay” sgancia un ordigno nucleare su Hiroshima. Nel terribile fungo atomico perdono la vita immediatamente decine di migliaia di giapponesi, mentre moltissimi altri, esposti alle radiazioni nucleari, moriranno in seguito o subiranno terribili conseguenze. La città è praticamente rasa al suolo. Eppure, appena tre giorni dopo, un’altra bomba atomica viene sganciata dagli americani a Nagasaki, provocando una seconda catastrofe. Il 2 settembre 1945 anche il Giappone accetta la resa: la seconda guerra mondiale è davvero terminata. APPROFONDIMENTO Paul Tibbets, il pilota del B-29 che sganciò la bomba atomica su Hiroshima, è morto a 92 anni il 1 novembre dello scorso anno. Tibbets, all'epoca colonnello dell'Air Force, aveva ribattezzato con il nome della madre, Enola Gay, il bombardiere che il 6 agosto 1945 colpì la città giapponese con il primo ordigno nucleare mai usato nella storia. Il 6 agosto 1945 la bomba atomica rade al suolo la città giapponese di Hiroshima. E' l'inizio dell'era nucleare, nel cui spettro vivrà il mondo della guerra fredda e la cui minaccia continua ancora oggi ad aleggiare. - 6 agosto 1945, otto e sedici del mattino: inizia l'era atomica E' il 6 agosto 1945 ad Hiroshima, in Giappone. Sono le otto e quindici minuti; un ultimo giro di lancetta e gli orologi si fermano, a fissare per sempre l'ora dell'apocalisse giapponese e l'inizio
È in atto la cosiddetta “strategia della tensione”. Alcune forze eversive di destra sono intente a tessere le “trame nere” miranti a provocare il collasso della democrazia, con l’appoggio mascherato di ambienti conservatori e reazionari, e anche di settori dei servizi segreti. Dopo il gravissimo attentato di Piazza Fontana a Milano il 12 dicembre 1969, che causa 16 morti, la scia degli atti eversivi aumenta vertiginosamente. Nella notte fra il 7 e l’8 dicembre del 1970 a Roma Valerio Borghese, già comandante militare durante la Repubblica di Salò, con forze neofasciste e la complicità di corpi “deviati” dello Stato tenta un “golpe” penetrando nel ministero degli Interni. L’eversione reazionaria, il cui obiettivo è la costituzione in Italia di un regime neofascista del tipo di quello instaurato dai colonnelli in Grecia, continua per molti anni, culminando nella strage di Brescia, il 28 maggio 1974, 8 morti e un centinaio di feriti, nella strage del treno Italicus, il 4 agosto 1974, 12 morti, fino ad arrivare alla strage della stazione di Bologna, il 2 agosto 1980, in cui si contano 83 vittime e circa 200 feriti. APPROFONDIMENTO Nella notte del 7 dicembre 1970, la vita democratica italiana è minacciata da un oscuro pericolo: è in atto un complotto pianificato nei minimi dettagli per l'assalto ai centri nevralgici del potere, un colpo di Stato. I ministeri dell'Interno e della Difesa, la sede della RAI, le centrali di telecomunicazione e le caserme sono presidiate in attesa dell'ordine di attacco, ma quando scatta l'ora decisiva tutte le forze mobilitate per il golpe sono richiamate a rientrare nei ranghi. Il Paese, ignaro degli avvenimenti che si sono susseguiti nella notte dell'Immacolata, scopre quale rischio abbiano corso le istituzioni repubblicane soltanto il 17 marzo 1971, quando il quotidiano “Paese Sera” rivela l'esistenza di un progetto eversivo dell'estrema destra. L'opinione pubblica, scioccata, si interroga su
Nell’agosto del 1944, la ferocia degli occupanti nazifascisti si scatena contro la popolazione di Sant’Anna di Stazzema, nel premeditato e deliberato tentativo di indebolire le formazioni partigiane. Quattro divisioni SS, accompagnate da collaborazionisti italiani, massacrano 560 civili inermi. La strage di Sant’Anna di Stazzema desta ancora oggi un senso di sgomento e di profonda desolazione civile e morale, per la violenza e la brutalità che l’ha caratterizzata. APPROFONDIMENTO Il 21 ottobre 2008, la Corte di Cassazione respinge il ricorso presentato dalla Germania, imponendole il risarcimento ai familiari delle vittime della strage di Civitella in Val di Chiana (AR). La sentenza ha molte connessioni con i tristemente numerosi casi analoghi di atrocità commesse dagli occupanti nazisti in Italia, e fa seguito alla decisione del Tribunale militare di La Spezia che nel novembre del 2007 qualifica la strage di Sant'Anna di Stazzema come un atto premeditato. Dopo le polemiche suscitate dall'ultimo film di Spike Lee, raccontiamo la storia che lo ha ispirato: a Sant'Anna di Stazzema nell'agosto del '44, quattro divisioni delle SS, con l'aiuto di alcuni italiani, massacrarono 560 civili inermi. - 12 agosto 1944: la strage nel racconto dei sopravvissuti 12 agosto 1944, l'alba è appena sorta, una compagnia di SS arriva a Sant'Anna di Stazzema, paesino di montagna sulle Alpi Apuane, in Toscana. E' il XVI battaglione delle SS-Freiwilligen-Panzergrenadier-Division "Reichsführer SS", con a capo il maggiore Walter Reder (1915'1991). Tre reparti salgono a Sant'Anna, mentre un quarto chiude ogni via di fuga a valle, sopra il paese di Valdicastello. Alle sette il paese è circondato. Le SS giungono a Sant'Anna, insieme ad alcuni fascisti collaborazionisti come guide, gli uomini del paese si rifugiano nei boschi per non essere catturati, le donne, i vecchi e bambini, sicuri che nulla sarebbe capitato loro, in quanto civili inermi, restano nelle loro
Durante la Seconda guerra mondiale, come in tutte le altre guerre, si sono consumate efferate e gratuite violenze ai danni delle donne. Ma niente può eguagliare l'orrore della vicenda delle "marocchinate", le donne ciociare violentate nel 1944 dal contingente marocchino dell'esercito francese. Erano chiamati "effetti collaterali della guerra"; oggi quegli stupri sono un crimine contro l'umanità. APPROFONDIMENTO IL CONTESTO È 15 febbraio del 1944, Seconda guerra mondiale, la folle distruzione della Abbazia di Montecassino, roccaforte tedesca nel frusinate, da parte dei bombardieri alleati, provoca la morte di centinaia di civili. L'Abbazia è rasa al suolo dal più imponente bombardamento della storia contro un singolo edificio. I tre mesi seguenti di combattimenti feroci per stanare gli invasori, trincerati tra le macerie, sono inutili. Quando i soldati alleati arrivano al Monastero, i pochi paracadutisti tedeschi se ne sono già andati per evitare di essere accerchiati dai gurkha della divisione indiana del generale inglese Francis Tuker. Un mese dopo il tragico bombardamento, esattamente il 15 marzo, è rasa al suolo anche la sottostante città di Cassino. Le bombe cadono anche dai monti delle Mainarde sino a Minturno: distruzioni massicce, con oltre 10.000 vittime civili, e circa 50.000 militari. Ma non è che l'inizio del martirio della zona intorno alla Linea Gustav. Voluta da Hitler nel settembre 1943, la Linea conta 230 chilometri di barriera difensiva, dal Tirreno all'Adriatico. Partiva da Gaeta, al confine tra Lazio e Campania, fino ad arrivare alla foce del Sangro, a sud di Pescara. La città ciociara di Cassino ne era il nodo. Saranno infine i soldati del generale francese Alphonse Juin a sfondarla. È l'aprile del 1944, la guerra non è finita. Per vincere, gli Angloamericani decidono di cambiare strategia: riuscire a prendere Montecassino, quindi passare attraverso i monti Aurunci, nella valle del Liri in Ciociaria. Anche per la popo
Giovedì 16 marzo 1978 le Brigate Rosse raggiungono l'apice della loro strategia del terrore: portare l'attacco al cuore dello Stato. Alle 9.02 del mattino, in via Fani all'incrocio con Via Stresa, nel quartiere Trionfale a Roma, un commando composto da circa 19 brigatisti rapisce il Presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, e uccide i cinque componenti della scorta: il Maresciallo dei Carabinieri Oreste Leonardi, l'appuntato Domenico Ricci, il Brigadiere Francesco Zizzi, l'agente Raffaele Jozzino e l'agente Giuliano Rivera. APPROFONDIMENTO - L'agguato Ma cosa successe realmente quella mattina, chi e quanti erano i brigatisti che presero parte all'agguato e al rapimento? Secondo la deposizione di Valerio Morucci al processo Moro Quater questa era la logistica del commando Br: " Io ho detto che l'auto 128 targata corpo diplomatico era guidata da Mario Moretti, che lo sbarramento all'incrocio di Via Fani è stato fatto da Barbara Balzerani, che la 132 dove è poi stato caricato l'onorevole Moro era guidata da Bruno Seghetti, che le quattro persone che hanno aperto il fuoco erano dal basso, Io, Fiore, Gallinari e Bonisoli". Questa dunque la ricostruzione secondo la deposizione al processo Moro Quater di Valerio Morucci, unico dei Brigatisti presenti a Via Fani ad essersi dissociato. Più in dettaglio la disposizione era dunque la seguente: alla guida della 128 bianca che ha il compito di frenare bruscamente e causare il tamponamento con la 130 Fiat su cui viaggiava Moro c'è Mario Moretti. A controllare l'incrocio c'è Barbara Balzerani armata di un mitra e di una paletta per far defluire il traffico. A sparare sono Valerio Morucci e Raffele Fiora, collocati sul lato sinistro della vettura di Moro, mentre a sparare sull'Alfetta di scorta sono invece Prospero Gallinari e Franco Bonisoli anch'essi collocati sul lato sinistro della vettura. Su Via Stresa c'è la 132 guidata da Bruno Seghetti che ha il compito di fare marcia indietro su Via Fani e cari
Il 9 maggio del 1978, mentre l'Italia è sotto choc per il ritrovamento a Roma del cadavere di Aldo Moro, in un piccolo paesino della Sicilia affacciato sul mare, Cinisi, a 30 km da Palermo, muore dilaniato da una violenta esplosione Giuseppe Impastato. Ha 30 anni, è un militante della sinistra extraparlamentare e sin da ragazzo si è battuto contro la mafia, denunciandone i traffici illeciti e le collusioni con la politica. A far uccidere Impastato è il capo indiscusso di Cosa Nostra negli anni Settanta, Gaetano Badalamenti, bersaglio preferito delle trasmissioni della Radio libera che egli ha fondato a Cinisi. Cento passi separano, in paese, la casa degli Impastato da quella dell'assassino di Peppino, Tano Badalamenti, come ricorda il titolo del film di Marco Tullio Giordana che ha fatto conoscere al grande pubblico, attraverso il volto di Luigi Lo Cascio, la figura di Peppino Impastato.
Raul Gardini, imprenditore italiano, nasce a Ravenna nel 1933 e muore a Milano 60 anni dopo, per suicidio, mentre le indagini che lo riguardano nell'ambito di Tangentopoli si stanno sempre più concentrando su di lui. APPROFONDIMENTO La carriera di Gardini comincia alla Ferruzzi, impresa agroalimentare che commercia cereali. Giunto alla sua guida nel 1979, dopo la morte del fondatore (di cui Gardini era genero, avendo sposato la figlia), la estende alla soia e allo zucchero, la converte sul piano industriale e riesce a farne addirittura la seconda più grande azienda italiana (dopo la FIAT). Gli anni Ottanta sono quelli del successo, quelli della sua preminenza nel salotto buono della finanza milanese, nonchè quelli della sua scalata alla Montedison, il principale polo chimico privato in Italia. Poi, nel 1989, con una ardita operazione di joint venture, unisce la Montedison alla statale Enichem per fondare ENIMONT (il cui nome è appunto una crasi dei due nomi). Ma le circostanze e i controversi intrecci con la politica lo forzano poi a vendere il suo 40% all'ENI, lasciando l'Enimont. Intanto la Ferruzzi è in crisi e lui ne viene improvvisamente estromesso, nel 1991. Il 20 luglio 1993 si suicida in carcere Gabrielle Cagliari, presidente dell'ENI, suo rivale nella vicenda Enimont. La cosa evidentemente ha un grande impatto su Gardini, che, forse sentendosi definitivamente accerchiato dalle indagini, commette suicidio tre giorni dopo, il 23 luglio 1993. Si tratta, naturalmente, di uno degli momenti più tragici e significativi di Tangentopoli. Ripercorriamo dunque con varie testimonianze l'ascesa e il declino di Raul Gardini, l'ultimo imperatore, un imprenditore che tra l'altro si era distinto anche nelle regate a vela, tanto che la barca da lui finanziata, Il Moro di Venezia, nel 1992 era giunta sino alla finale della prestigiosa "Coppa America", disputata a San Diego.
E’ stato per trent’anni il più autorevole funzionario dell’Ufficio Affari Riservati, di fatto, il servizio segreto del Ministero dell’Interno. Bonario e spietato, curioso e discreto, D’Amato è stato l’uomo di fiducia degli americani, lo spione di Botteghe Oscure, il primo civile ammesso alla Nato e, secondo i suoi accusatori, la figura dietro agli scandali finanziari, alle trame oscure e alle stragi che hanno attraversato il paese. Una vera e propria ombra del potere. Una figura che ha fatto delle informazioni un’affilata arma del potere. Il suo scopo sapere tutto di tutti soprattutto di quelli che il potere lo detengono.
Nella primavera del 1946 viene presentato un minuscolo e stravagante veicolo a due ruote. Un piccolo sgorbio rotondo che obbedisce alla legge della praticità ed ha l’ambizioso obiettivo di colmare il divario tra la bicicletta e l’automobile. Il motore dietro è sigillato dentro un cofano che sembra una mela tonda, la ruota anteriore è coperta da un aerodinamico parafango sormontato dal fanale, i paragambe sono ampi con una larga pedana, il cambio è a mano e il gas a manopola, il sellino può ospitare anche un passeggero. Pesa 60 chili, va a miscela al 5% e ha dentro un motore da 98cc. che diventeranno ben presto 125. Progettata dall’ingegner Corradino D’Ascanio, inizialmente doveva chiamarsi Paperino ma Enrico Piaggio, vedendola, disse: “Sembra una vespa”. E Vespa sarà: 80mila lire per un sogno di libertà a 60 chilometri orari. La Vespa è un’incognita tutta da scoprire. “Bisognerà farci l’abitudine”, commenta la gente. “Sembra proprio una vespa”. “Chissà se avrà fortuna?”. All’inizio dunque l’accoglienza è incerta, ma dopo un breve rodaggio scoppia il boom. L’Italia riparte in Vespa, si “vespizza”, e pochi mesi più tardi, a conferma del successo dello scooter, nascerà la Lambretta. APPROFONDIMENTO Lo scooter più famoso del mondo, la Vespa Piaggio, nasce dalle macerie della guerra grazie al fortunato incontro di un abile imprenditore, Enrico Piaggio, e di un geniale progettista, Corradino D'Ascanio, e diventa un mito lungo mezzo secolo, che attraversa la storia del nostro paese segnandone il costume e diffondendo la sua immagine nel mondo. - L'Italia del dopoguerra L'Italia del dopoguerra è un paese allo stremo delle forze; manca il lavoro, scarseggiano i beni di prima necessità, l'economia è nelle mani del mercato nero. Gran parte delle strade, delle linee ferroviarie e dei ponti sono interrotti quando non sono distrutti. Ma la guerra è finita e con essa lo spettro dei bombardamenti, dunque si può ricom
Doveva essere un papa di transizione; si rivelerà un rivoluzionario. Angelo Roncalli viene eletto Papa il 28 ottobre 1958 e si dà il nome di Giovanni XXIII, Muore il 3 giugno 1963. In meno di un lustro, cambia faccia alla Chiesa, aprendola maggiormente verso il mondo moderno: lo fa attraverso la storica decisione di convocare un Concilio ecumenico (il "Vaticano II"); attraverso encicliche importanti come la "Mater et Magistra" e la "Pacem in terris"; ma anche attraverso il suo fare bonario, schiettamente paterno e cristiano, che conquista tutti. Sono quei tratti che lo renderanno noto come "il Papa buono". Riviviamo la sua vita, la sua personalità, la sua fede e vari tratti salienti del suo pontificato attraverso il parere di giornalisti, storici della Chiesa e la preziosa testimonianza del suo principale collaboratore e confidente, il Segretario particolare Mons. Loris Capovilla. Particolare spazio viene dedicato qui all'opera di Giovanni XXIII nel miglioramento delle relazioni con gli ebrei, per secoli improntate alla diffidenza e ai pregiudizi, quando non all'ostilità. Il suo incontro (avvenuto nel 1960) con Jules Isaac, pensatore e storico francese, promotore dell'associazione "Amitié Judéo-chrétienne", rappresenta un passo importante in questa nuova e positiva direzione.
Il 29 luglio 1981 tutto il mondo segue in diretta le nozze di Carlo d’Inghilterra e Diana Spencer. È il matrimonio del secolo: lui ha 32 anni, lei 20 e piace per la sua semplicità. È stata maestra d’asilo e proviene da un’antica famiglia di nobili. Dà alla luce William ed Henry, ma ben presto il sogno di Lady Diana si infrange. La corte e la regina infatti le sono ostili e lei scopre molto presto che il cuore del marito appartiene ancora a Camilla Parker-Bowles, una fiamma di gioventù in realtà mai spenta. Il matrimonio con Carlo d’Inghilterra dunque non può che naufragare rapidamente, e per Diana sembra arrivare una seconda occasione: la relazione con il miliardario arabo Dodi Al Fayed. Ma la notte del 31 agosto 1997 Lady Diana e il suo nuovo compagno perdono la vita in un terribile incidente d’auto a Parigi. La ricostruzione di quei tragici momenti rappresenta però un mistero che si tinge di giallo: la dinamica stessa dell’incidente, i soccorsi, i retroscena. Il 6 settembre 1997 due miliardi di telespettatori seguono i funerali solenni a Londra di Lady D, la “principessa triste”.
La storia di un miracolo italiano. Di quei miracoli che possono avvenire solo nelle nostre province per merito di uomini in grado di combinare insieme la capacità imprenditoriale con l’amore per il proprio territorio. Uno di questi si chiamava Aristide Merloni, l’uomo che ha inventato la Ariston, introducendo per primo nelle case degli italiani le cucine a gas trasformandole in veri oggetti di culto. La sua è una storia di successo e di eccellenza frutto di intuizione, tenacia, visione. Marchigiano, di Albacina in provincia di Ancona, Aristide nasce povero ma con una gran voglia di farcela. Non a caso, fu proprio grazie all’incontro con Enrico Mattei l’uomo dell’”energia”, che Aristide compie i suoi primi passi da imprenditore. Tutto cominciò con le bombole a gas e da lì ai fornelli e via via ,le cucine, le lavatrici, gli scaldabagni, le caldaie. Quella di Merloni non è stata un’impresa facile.Più volte sul punto di fallire è riuscito sempre a reinventarsi, a crescere, a prosperare. Ma su una cosa non aveva dubbi: la sua attività doveva restare sul territorio, Le Marche. “Il lavoro, diceva, si porta dove sono i lavoratori” . Luoghi fino allora remoti come Fabriano, Albacina, Matelica , Borgo Tufico , diventano sede dei suoi stabilimenti, tanti monoprodotto disseminati sul territorio. Merloni, il “piega-acciaio” come veniva soprannominato, cambia il destino della sua regione. Già nel 48 tutta la sua famiglia è impegnata nella campagna elettorale a favore della Dc e da allora comincia, accanto a quella di imprenditore, anche la sua carriera politica. Due volte senatore , Aristide crea anche una sua Fondazione per l’analisi e lo sviluppo delle Marche . Fino al 19 dicembre del 1970 quando un incidente segna una battuta d’arresto al miracolo marchigiano. Aristide muore ma i suoi figli vincono la sfida, e rilanciano l’azienda anche sui mercati esteri. Oggi il mondo di Aristide è diventato un complesso di aziende di ta
Il 28 maggio del 1980 alle 11:10 viene ucciso a Milano, in via Salaino, il giornalista del Corriere della Sera, Walter Tobagi. Un commando di giovani ragazzi, buona parte dei quali appartenenti a famiglie della Milano "bene", gli spara a poca distanza da casa, mentre sta andando a piedi a prendere l'automobile per recarsi al giornale. Nel giro di poche ore, secondo il tragico rituale della lotta armata, l'assassinio viene rivendicato, attraverso un volantino, da una nuova sigla del terrorismo rosso: la "Brigata 28 marzo". APPROFONDIMENTO - La mattina dell 'assassinio Era una mattina fredda quella del 28 maggio 1980. Il giornalista Walter Tobagi, di 33 anni, esce di casa poco dopo le 11 e si avvia verso via Salaino, nei pressi della sua abitazione (in via Andrea Solari, n.2, all'incrocio con via Montevideo), per prendere l'auto in garage. A Tobagi si avvicinano due giovani armati: partono alcuni colpi di pistola. Il giornalista cade a terra, a ridosso del marciapiede. Come si saprà in seguito, all'agguato partecipano sei persone: Marco Barbone, Paolo Morandini, Mario Marano, Francesco Giordano, Daniele Laus e Manfredi De Stefano. In seguito si saprà anche che a sparare il colpo mortale è stato il leader del gruppo Marco Barbone. Mario Marano confesserà durante il "processo Tobagi" che Barbone, dopo aver già esploso tre colpi, si avvicinò al giornalista e disse: "Non è morto" ed esplode un altro colpo. I colpi sparati- sei per la precisione- vengono uditi fino a casa Tobagi. Sua moglie Stella esce di casa correndo tenendo per mano la figlia Benedetta, di tre anni: raggiunge il corpo di Walter che giace sul selciato bagnato, gli si inginocchia accanto e piangendo gli accarezza i capelli. Sopraggiungono i genitori che vedono abbattuti lì i sacrifici ed i sogni della loro vita. "Abbiamo lavorato tutta la vita per Walter, ora dobbiamo pensare ai suoi bambini", disse Ulderico Tobagi, padre di Walter. "Per questi bambini noi siamo qui." (Dalle "conclusioni
A dieci anni dalla morte di Bettino Craxi, scomparso il 19 gennaio 2000, "La Storia siamo noi" presenta il ritratto di un politico tra i più importanti e discussi della Prima Repubblica, tratteggiato con la testimonianza di familiari, amici e collaboratori. Bettino Craxi, autonomista di scuola nenniana, succedendo a Francesco De Martino assume la segreteria del Partito Socialista Italiano nel 1976, un anno cruciale che ha provocato profonde ripercussioni su tutta la scena politica italiana. La sua azione in qualità di segretario nazionale si è sviluppata lungo tre direttrici: la critica nei confronti del PCI da lui giudicato un partito democraticamente immaturo ed incapace di operare una scelta coerente tra la sua matrice leninista e il riformismo socialista democratico, e dunque non adatto ad esercitare funzioni di governo; la denuncia del fatto che PCI e DC potessero stabilire un accordo “paralizzante” per il pluralismo democratico, ed infine l’indicazione di una nuova intesa tra un PSI scevro da ogni vecchia subalternità e una DC capace di stabilire un rapporto di potere paritetico con il PSI, nell’ottica di un’alternanza fra i partiti di governo alla guida dell’esecutivo. In seguito, l’affermarsi della linea craxiana ha portato il PSI alla completa separazione dal marxismo, favorendo il suo collegamento alle socialdemocrazie occidentali.
Giulio Einaudi è senza dubbio uno dei più importanti editori italiani del Novecento. Nato in provincia di Cuneo nel 1912, Giulio è il figlio dell’economista Luigi Einaudi, primo Presidente della Repubblica Italiana dal 1948 al 1955. Dopo la maturità classica si dedica alla rivista paterna “La Riforma Sociale”. È innata in lui la passione per l’editoria, che rappresenta la più grande avventura della sua vita. Nel 1933, a 21 anni, fonda a Torino la Giulio Einaudi Editore, in via Arcivescovado 7, un tempo sede della rivista ”Ordine Nuovo” di Antonio Gramsci. Il suo catalogo spazia dalla storia alla critica letteraria alla scienza, tenendo conto di ogni corrente e scuola di pensiero. Nel 1935 è al fianco del gruppo di “Giustizia e Libertà”: viene arrestato e messo al confino. Poi, circondandosi di menti libere e nuovi talenti, contribuirà a rinnovare la narrativa italiana, pubblicando opere di autori che hanno segnato la cultura del Novecento. Muore nel 1999. Parlano di lui e della sua opera scrittori, collaboratori, storici, letterati. Ripercorrere la sua vita equivale a fare un meraviglioso viaggio nella cultura italiana del secolo scorso.
"Un poliedrico... un eclettico". Così si definiva lui, cantando in un duetto al pianoforte con Mina. "Lo zio buono dello swing", "il Woody Allen di Trieste", lo definiscono altri. Compositore, attore, presentatore, voce storica della tv e della radio, di sicuro Lelio Luttazzi (1923-2010) fu un artista raffinato, amato da pubblico e critica. Ne ripercorriamo la carriera, dall'infanzia triestina ai successi, dai periodi più difficili alla rinascita: in seguito a un errore giudiziario, nel 1970 passa 27 giorni in carcere e, profondamente amareggiato, si defila. Ma quando infine tornerà in scena, l'affetto del pubblico si rivelerà immutato. Un ritratto a suon di musica di un grandissimo artista.
Come per le precedenti personalità fatte oggetto di un nostro documentario, questo ritratto di Giorgio Almirante (1914-1988) indaga sia l'aspetto pubblico che quello privato del personaggio, i fatti noti ma anche quelli meno conosciuti o ancora del tutto sconosciuti, scovati grazie al lavoro di meticolosa ricerca degli autori. La puntata sul leader del Movimento Sociale Italiano svela infatti un segreto mai rivelato prima. Un clamoroso retroscena sulla svolta moderata dell’MSI verso una Destra Nazionale più moderna e post-fascista. Secondo la testimonianza di Giulio Caradonna, esponente di spicco dell’MSI, l’intera operazione, risalente all’inizio degli anni 70, venne pilotata e finanziata dagli Stati Uniti, per indebolire una Democrazia Cristiana pericolosamente sbilanciata a sinistra. Secondo la testimonianza di Caradonna fu uomo di fiducia di Nixon, l'imprenditore italo-americano Pier Francesco Talenti, a far da intermediario all’intera operazione. Il denaro, 600 mila dollari, fu consegnato dall’allora capo dei servizi segreti militari, Vito Miceli, nelle mani di Almirante stesso, senza che i suoi referenti politici ed istituzionali fossero stati messi al corrente. Una testimonianza, quella di Caradonna, confermata dalla voce stessa di Giulio Andreotti in una delle sue ultime interviste concesse a Marco Marra prima di morire. E non è la sola novità del documentario, che traccia un ritratto di Almirante a 360 gradi. Di lui parlano le persone che gli sono state più vicine: dalla moglie Assunta al suo stretto collaboratore Donato La Morte, dal giornalista Giano Accame all'ex MSI Ignazio la Russa, e altri ancora.
Simpatico, scatenato, divertente, pieno di vitalità e di senso dell’umorismo. Quelli che lo conoscono lo descrivono come un uomo di straordinaria energia. Uno che giocava con la vita fino a conoscerne gli eccessi. Gigi Rizzi è stato uno degli uomini più invidiati d’Italia. La sua storia d’amore con Brigitte Bardot , alla fine degli anni 60, lo ha trasformato in un mito, un caso di orgoglio nazionale. Un ritratto inedito ed intimo di un “ex play boy”, anche se oggi all’età di 69 anni lui ama invece definirsi un “play nonno” visto che la sua esistenza fatta di rocambolesche salite e rovinose discese gli ha regato infine la gioia di una vera famiglia. La sua storia non può che esplodere sulle spiagge di Saint Tropez, isola di libertà e di divertimento, quando nel 68 le cronache sono divise tra la mondanità delle spiagge e le rivolte studentesche. BB, mito assoluto di quegli anni e regina di Saint Tropez, lo sceglie tra mille pretendenti . Lo vede e un’ora dopo , come racconta Rizzi, erano a letto insieme . “Era sessualmente pazzesca” racconta “ed io mi attribuisco il merito di averla resa felice portandola fuori nelle “boite” e facendola divertire”. Rizzi aveva allora 24 anni ed era all’apice della sua notorietà. “La sua filosofia, racconta il giornalista Giampietro Mughini, era semplicemente questa: quando ho fame mangio”. La storia con BB dura appena tre mesi ma Rizzi è una star. Grazie a lui, locali come il Number One, di Milano e poi quello romano, hanno enorme successo. Ma come ogni “vita spericolata” anche quella di Gigi Rizzi conosce i suoi drammatici rovesci. Droga, gioco d’azzardo, problemi con la giustizia fino al clamoroso scandalo del Number One di Roma quando venne trovata cocaina nei bagni e il locale viene chiuso. Nel corso del documentario le testimonianze di Elsa Martinelli, sua amica di scorribande notturne, ma anche quella di giornalisti come Massimo Fini, Natalia Aspesi e soprattutto que
Il primo maggio del 1947, nei pressi della Piana degli Albanesi, vicino Palermo, durante la Festa del Lavoro, alcuni banditi spararono sulla folla e uccisero 12 persone, ferendone più di 30. In quella circostanze si compì la strage di Portella della Ginestra: per molti, il primo grande mistero dell'Italia repubblicana. I colpi, come si seppe in seguito, furono sparati da Salvatore Giuliano, il leggendario bandito di Montelepre, protagonista del dopoguerra criminale in Sicilia e dalla sua banda; non si è mai saputo, invece, il movente di quell'eccidio, chi lo abbia ordinato e chi abbia coperto le indagini successive. APPROFONDIMENTO - Lo sbarco in Sicilia e la mafia siciliana. Tutto ebbe inizio il 9 luglio 1943, quando le truppe anglo-americane sbarcano in Sicilia. In soli 10 giorni le truppe della settima armata americana e della ottava armata britannica conquistarono due terzi dell'Isola. Palermo subì pesanti bombardamenti e cedette il 22 luglio. Dopo fu la volta di Messina, dove le divisioni italiane Livorno e Napoli e il XIV corpo d'armata tedesco resistettero fino al 17 agosto. A Cassibile, emissari del governo Badoglio firmarono il 3 settembre l'armistizio con le delegazioni degli Alleati. Numerosi italo-americani furono inseriti nelle truppe di occupazione, sollevando per la Sicilia il problema del ruolo esercitato dalla mafia siculo-americana nelle operazioni di sbarco e poi nel controllo dell'isola. La mafia entrò in scena soprattutto nella fase successiva lo sbarco, in rapporto al controllo sociale del territorio. Numerosi furono i sindaci mafiosi insediati dagli alleati: il caso più noto fu quello del mafioso Calogero Vizzini designato sindaco di Villalba, in provincia di Caltanissetta dal tenente americano di nome Beehr dell'AMGOT, l'Allied Military Government of Occupied Territory (Governo Militare Alleato dei Territori Occupati). Per gli abitanti dell'isola, il dopoguerra aveva avuto inizio, ma i viveri scarseggiavano. Diminuivano inf
Il 17 aprile del 1944 alle 5 del mattino i tedeschi effettuano un rastrellamento nel Quadraro, quartiere popolare a sud di Roma. E' l'Operazione Walfisch (Balena). I soldati entrano nelle case di quella borgata e arrestano tutti gli uomini tra i 16 e i 55 anni che trovano. Ne prendono quasi mille. E' l'inizio di un'odissea. Dal Quadraro a Grottarossa e poi da lì al campo di prigionia di Fossoli, in Emilia Romagna. Di qui, vengono poi trasferiti in Germania e messi a lavorare come schiavi nelle fabbriche o nei campi agricoli del Reich. Ma la loro un'odissea che, a differenza di quella di molti altri deportati, ha un lieto fine. L'8 marzo 1945, infatti, la Germania è costretta a firmare la resa. E per i deportati rimasti vivi questo significa la liberazione e il ritorno a casa: Italia, Roma, Quadraro.
Il 25 aprile 1945 segna la fine della guerra in Italia e l’inizio di una nuova storia nazionale. Le forze della Resistenza, dopo due anni di lotta contro l’esercito nazista e i fascisti della repubblica di Salò, vincono. La loro azione libera intere regioni, facilita l’avanzata delle truppe alleate e del ricostituito esercito italiano lungo la valle padana, salva porti e impianti industriali. Grandi e piccoli centri insorgono uno dopo l’altro ma il momento decisivo è l’insurrezione delle grandi città del nord, Genova, Milano, Venezia, dove gli uomini armati delle montagne si congiungono ai gruppi che già operano per le vie e per le piazze. La vittoria è l’atto finale della Resistenza iniziata all’indomani dell’8 settembre 1943 ed è costata un largo tributo di sangue. “L’Italia - ha scritto Churchill - deve la propria libertà ai suoi caduti partigiani, perché solo combattendo si conquista la libertà”. Il 25 aprile il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia assume i poteri di governo, mentre Mussolini in uniforme tedesca cerca di fuggire oltre confine. Il fascismo finisce a Milano dove è nato. Ma l’azione armata, la lotta partigiana non sono stati uno scatto di rivolta, un capovolgimento improvviso, una sommossa imprevedibile. Quel 25 aprile ha segnato il culmine degli anni oscuri e difficili dell'opposizione politica e morale al fascismo: la fine vittoriosa di una la lotta per la libertà cominciata il 28 ottobre 1922 all’epoca della cosiddetta “marcia su Roma”. APPROFONDIMENTO Il 28 ottobre 1922 con la “marcia su Roma” comincia la lunga avventura del fasciamo in Italia. Un anno prima Benito Mussolini ha trasformato in partito il movimento da lui fondato nel 1919, e può già vantare 200mila inscritti, 35 deputati e una sua milizia armata: le camice nere. Squadre di giovani partono da tutte le città con ogni mezzo al grido di “o Roma o morte” e occupano i punti strategici dell’Italia settentriona
Don Tonino Bello, Vescovo di Molfetta, dalla grande umanità e dall'estrema libertà. Pace, carità, amore per la giustizia sociale sono i valori che accompagnano la vita e l'apostolato di quest'uomo coraggioso. Il "profeta della Pace" o il "Vescovo della tenerezza", come lo chiamavano in molti. A sedici anni dalla sua scomparsa, ripercorriamo la figura del Vescovo di Molfetta, che fu anche Presidente Nazionale di Pax Christi. Coerente con le sue scelte di cristiano, il suo sogno era quello di una 'chiesa del grembiule' al servizio degli umili, come affermava egli stesso, e non una Chiesa del potere. Don Tonino dedica la sua esistenza agli emarginati, ai poveri e sofferenti e negli anni '80 inizia a battersi contro le guerre. Solo un cancro indomabile riuscirà a fermarlo il 20 aprile del 1993. Il suo esempio continua a parlare al mondo di oggi. Attualmente è in corso il suo processo di beatificazione. APPROFONDIMENTO Tonino Bello nasce il 18 marzo del 1935 ad Alessano, un piccolo paese in provincia di Lecce, all'estremo sud della penisola salentina. Sua madre, vedova, deve crescere da sola i suoi tre figli tra enormi difficoltà materiali. Come da consuetudine, il figlio più grande - in questo caso Tonino - entra in seminario, prima nella diocesi di Ugento, successivamente nel Pontificio Seminario di Molfetta ed infine a Lonarmo di Bologna. Il 10 agosto 1982 viene eletto da Giovanni Paolo II Vescovo di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi, ed il 30 settembre dello stesso anno, Vescovo di Ruvo. Sin dal 1985 è Presidente nazionale di "Pax Christi". Il suo motto episcopale diceva: "Ascoltino gli umili e si rallegrino". In queste parole era racchiuso il suo programma di Vescovo della tenerezza, come usavano chiamarlo in molti. Da subito inizia a parlare della necessità di essere "contemplattivi" - termine da lui coniato - ovvero di poter contemplare insieme la dimensione solitaria con quella militante; dello stare dentro la storia ed insieme del diven