Il 28 maggio del 1980 alle 11:10 viene ucciso a Milano, in via Salaino, il giornalista del Corriere della Sera, Walter Tobagi. Un commando di giovani ragazzi, buona parte dei quali appartenenti a famiglie della Milano "bene", gli spara a poca distanza da casa, mentre sta andando a piedi a prendere l'automobile per recarsi al giornale. Nel giro di poche ore, secondo il tragico rituale della lotta armata, l'assassinio viene rivendicato, attraverso un volantino, da una nuova sigla del terrorismo rosso: la "Brigata 28 marzo". APPROFONDIMENTO - La mattina dell 'assassinio Era una mattina fredda quella del 28 maggio 1980. Il giornalista Walter Tobagi, di 33 anni, esce di casa poco dopo le 11 e si avvia verso via Salaino, nei pressi della sua abitazione (in via Andrea Solari, n.2, all'incrocio con via Montevideo), per prendere l'auto in garage. A Tobagi si avvicinano due giovani armati: partono alcuni colpi di pistola. Il giornalista cade a terra, a ridosso del marciapiede. Come si saprà in seguito, all'agguato partecipano sei persone: Marco Barbone, Paolo Morandini, Mario Marano, Francesco Giordano, Daniele Laus e Manfredi De Stefano. In seguito si saprà anche che a sparare il colpo mortale è stato il leader del gruppo Marco Barbone. Mario Marano confesserà durante il "processo Tobagi" che Barbone, dopo aver già esploso tre colpi, si avvicinò al giornalista e disse: "Non è morto" ed esplode un altro colpo. I colpi sparati- sei per la precisione- vengono uditi fino a casa Tobagi. Sua moglie Stella esce di casa correndo tenendo per mano la figlia Benedetta, di tre anni: raggiunge il corpo di Walter che giace sul selciato bagnato, gli si inginocchia accanto e piangendo gli accarezza i capelli. Sopraggiungono i genitori che vedono abbattuti lì i sacrifici ed i sogni della loro vita. "Abbiamo lavorato tutta la vita per Walter, ora dobbiamo pensare ai suoi bambini", disse Ulderico Tobagi, padre di Walter. "Per questi bambini noi siamo qui." (Dalle "conclusioni