La Quaglini uccide tre uomini nella provincia pavese tra Broni e Stradella. E’ una vedova nera atipica e disperata che uccide uomini violenti per difendersi e forse per vendicarsi. Una storia che racconta la provincia, ma anche quell’universo femminile che in altre circostanze sarebbe stato vittima di femminicidio e che qui, in qualche modo, ne è la nemesi.
Minghella ha bisogno di uccidere: quando ammazza, si eccita. Le sue vittime sono donne, in particolare prostitute. Gli omicidi iniziano il 9 aprile 1978 con la prima vittima Anna Pagano, 20 anni, una prostituta tossicodipendente. Dopo aver ucciso altre quattro donne, Minghella viene arrestato. Il 3 aprile 1981 è condannato all’ergastolo. Nel 1995, a 37 anni, ottiene la semilibertà ed è in questo periodo che commette almeno altri quattro omicidi, tra cui il suo crimine più efferato: Tina Motoc, 27 anni, brutalmente uccisa nella notte tra il 16 e i 17 febbraio 2001.
Chiamato il Landru del Tevere, Cesare Serviatti uccide e fa a pezzi sette giovani donne nell’Italia del fascismo, usando un coltello da cucina come arma del delitto, due valigie come tomba, un treno come carro funebre. Per anni quest’uomo dall’aria innocua adesca con l’aiuto della moglie ingenue donne di mezza età, utilizzando annunci sui giornali con l’intento di accaparrarsi i loro averi. Una storia che inizia con la scoperta dei corpi a pezzi nelle valigie alla Stazione di Napoli e che lascia sbigottito un paese in cui il regime fascista proibiva i romanzi gialli e censurava la cronaca nera.
Tra l’ottobre 1977 e l’agosto 2000 Salvatore Avvantaggiato commette due omicidi, forse di più (ma non è mai stato possibile dimostrarlo). La prima vittima è un’ostetrica, uccisa nel 1977 durante un furto d’appartamento a Corigliano d’Otranto. Viene arrestato e condannato all’ergastolo. Durante la detenzione ottiene una cinquantina di permessi-premio per buona condotta e il 7 agosto 2000 uccide di nuovo. Lui nega ogni responsabilità, ma una telecamera a circuito chiuso lo incastrerà, cancellando ogni dubbio.
Il primo marzo 1996 la polizia e la Criminalpol sono schierate davanti alla porta di un maso, tipica abitazione del Trentino Alto Adige. All’interno si è barricato un uomo dopo aver sparato in faccia a un maresciallo. Quell’uomo è Ferdinand Gamper e ha ucciso sei persone a Merano con un colpo in testa di calibro 22. L’unico movente degli omicidi sembra essere quello dell’odio verso gli italiani, testimoniato anche da un messaggio lasciato dal killer accanto a una delle ultime vittime. Naturalmente le cose non sono così semplici come sembrano: scavando sotto la superficie della cronaca, emergono i tratti della personalità dell’assassino e la sua tormentata storia familiare.
La protagonista di questa vicenda è passata alla storia per aver bollito con la soda caustica i resti di alcune sue vittime, facendone del sapone. In realtà Leonarda Cianciulli ha fatto ben altro e aveva una motivazione forte per uccidere: voleva compiere dei sacrifici umani per salvare i propri figli dalla morte, in particolare il primogenito, che rischiava di essere chiamato al fronte. La Cianciulli aveva già perso troppi figli (nel suo memoriale si parla di dieci bambini morti nella culla e tre gravidanze interrotte) e non poteva sopportare altre bare bianche: “Non ho ucciso per odio o per avidità, ma per amore di madre”. Così tra il 1938 e il 1941 assassina almeno tre donne, dalle quali ricava il sangue come tributo per salvare i propri figli.